sabato 26 aprile 2014

DACCI OGGI IL NOSTRO PAIS QUOTIDIANO

Pochi giorni dopo i fatti di aprile che hanno visto Roma bruciare tra disordini incompresi, seguiti da gesti e reazioni di dubbio rigore, a Cervia apriva i battenti e veniva inaugurata una mostra fotografica che come sfondo di anni felici e fruttosi ha proprio la città eterna. Una rassegna che, come hanno voluto i curatori, è un racconto per immagini. A partire dal titolo, Pais del Cinema, gioco di parole che racchiude in sé il nome del fotografo, grandissimo, Rodrigo Pais, e un Paese, il nostro, raccontato negli anni d’oro del cinema italiano.
Incastonati attraverso i passaggi fondamentali della storia d’Italia, bloccati nelle reazioni sensibili del cronista-artista-fotografo che immortala attori, registi e set del sogno inventato dalla letteratura e riprodotto dal cinema.
Un gioco di svelamenti progressivi, dove la realtà è quella che si vede ma la verità che sta dietro è quella che solo il collegamento tra i fatti permette di capire. Una triplice narrazione incastonata in scatti apparentemente indipendenti, in realtà collegati: come nella sezione intitolata Il divorzio in Italia, ad esempio. In cui Pais documenta con le foto la prima manifestazione nazionale a Piazza del Popolo (3 novembre 1966) e parallelamente, attraverso gli scatti realizzati andando sul set di Ménage all’italiana, con Ugo Tognazzi e Romina Power, racconta come l’arte aveva percepito e poi raccontato un passo tanto importante della storia civile italiana.

Viene fuori così non solo che l’arte arriva prima, visto che il film è datato 28 ottobre 1965, ma che collegare i fatti significa svelarli, spiegare quello che c’è dietro. Stesso discorso con lo scatto in cui Alberto Sordi e Giulietta Masina sono sul set di Scusi, lei è favorevole o contrario? Era il 7 ottobre 1966. C’è il neorealismo (l’attualità di allora) e c’è quel che l’Italia stava diventando. Con Roma che è una parte per il tutto, contraddizioni comprese: set da passerella e immensa borgata. Ma soprattutto si è invasi dalla riflessione, dalla capacità e dall’intenzione feroce di mettere in relazione gli eventi e decodificarli. Il filo rosso è l’elemento artistico, l’unico intùito in grado di cogliere e scavare.
Succede così che un allestimento di attimi rubati si faccia analisi storica e documento. Vale per le frasi, memorabili, di Pasolini spesso usate come didascalia esplicativa di un modo di percepire il mondo. E vale per le foto che testimoniano le proteste degli autori contro la censura. Intellettuali, registi, scrittori uniti contro l’inasprimento censorio che avrebbe fatto cadere, nel 1960, capolavori come La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli e che nel ’62 avrebbe portato all’approvazione della legge 161. Pasolini, Moravia, Mastroianni, tutti immortalati nella loro protesta contro la censura. E’ il cinema, la letteratura, e la fotografia stessa in un unico scatto. Sono le arti che dialogano e che sin intrecciano per dipanare la matassa della comprensione. E che in alcuni casi si crea un gioco di rimandi e di specchi che permette – approfondendo - di capire lo spirito dei tempi. E di far scaturire manifestazioni, se necessario.
Commuovono Nanni Loy ed Elio Petri come saltimbanchi su un camioncino, fotografati mentre incontrano gli operai fuori dalla Fatme, a Roma, per sensibilizzarli “per la difesa delle democrazia e della libertà d’espressione”. Espressioni che oggi a noi suonano vuote, tante volte le abbiamo sentite usare anche a sproposito. Ma che allora testimoniavano una presa di posizione. Assunta in primo piano dagli artisti. Si esce dalla mostra con la consapevolezza che bloccare un momento nel tempo ha senso sempre, purché l'atto sia seguito da un’analisi e si mettano in relazione gli eventi. E si esce dalla mostra con la certezza che a guardarci intorno, in questo momento, qualcosa manchi. E non sono i fatti.
Ci vorrebbe Pasolini, adesso. Ma anche Moravia, Calvino, Loy, Fellini, Sordi e tutti i grandi fermati per sempre negli scatti esposti al Magazzino del Sale. E ci vorrebbe Rodrigo Pais. Il fotografo che ha incastonato nel tempo il boom edilizio, Calvino e il cinema, il caso Fenaroli e che lavorava anche venti ore al giorno per raccontare l’Italia a braccio, intrufolandosi dove non poteva.
Ci vorrebbe Pais adesso. Gli chiederemmo di aiutarci a mettere in relazione qualche scatto recente. Perché in questi giorni distratti dal trionfo della devozione ci sono alcune immagini che continuano a imporsi, prepotenti eppure ostinatamente riposte in secondo piano.
Scavalcate dagli eventi, forse. Ignorate da chi dovrebbe analizzarle. Sicuramente. Eppure ferme, immobili.
Ben piantate nell’immaginario individuale di chi non archivia tuto al volo. Immagini (volutamente?) lasciate senza alcun ragionamento a far da nesso di relazione con i fatti dei nostri tempi. Ad esempio quella del ministro dell’Interno (la mano verso l’alto a sbandierare immagini di disordini incompresi - dietro di lui simboli di partito perfettamente visibili) che minaccia la chiusura del centro storico ai cortei, dopo che una manifestante era stata calpestata da chi è pagato per tutelare i cittadini.
Oppure quella di una sala stampa deserta, in cui un capo del governo, solo uomo al comando, risponde senza interruzioni né contraddittorio a domande invisibili che galleggiano cinguettate nell’etere. Mentre noi altri piano piano perdiamo i sensi, avvolti e intorpiditi dall’aria candida di questi giorni beati che inesorabilmente diventano santi.

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