mercoledì 8 ottobre 2014

TEATRO (OFF) CHIAMA, ROMA PASSA E CHIUDE

Gli interessati sappiano che è in scena Roma che muore. E tranquilli se siete al verde, perché lo spettacolo è gratis. L'agonia è fruibile a costo zero e ovunque, basta farsi un giro fuori dalle sale off della capitale dove si crea e si fatica per la sperimentazione teatrale. E non solo in quelle. 

Osservo il volume, lo sfoglio. Ha il dorso rovinato e la copertina il lembo destro ripiegato, l'orecchio del somaro. Sì, l'orecchio del somaro. Le pagine sono sottolineate, scavate, appuntate. Non ce n'è una libera da un appunto o un asterisco, un richiamo, un rimando. Pesa il doppio rispetto a quando è stato comprato.
E' l'Inferno di Dante, ed è così: piccolo, maneggevole. Lo riguardo mentre lo sfoglio con gli occhi incastrati all'indietro: vissuto e stremato. Lo credo bene, sorrido tra me, gli si chiedeva anche di fare gli straordinari.


Mentre i giornali ci ammoniscono sul baratro in cui stanno sprofondando i piccoli teatri romani, mi tornano in mente gli infiniti pomeriggi del mio periodo liceale. Trascorsi nei teatri romani che per poche lire regalavano spettacoli sperimentali. Teatri piccoli, piccolissimi, innovativi, dai linguaggi a tratti incomprensibili, sempre affascinanti. Sale fredde, parrocchiali o municipali. Oppure importanti. 
Accarezzo il volume, mi fermo sul Quinto Canto. 
E vado indietro nel tempo, a più di venti anni fa. Stagione teatrale dell'Argentina. Qui ogni lunedì pomeriggio le letture della Commedia di Dante facevano il tutto esaurito. 
Anche quello, di spettacolo era gratis. 


Il pomeriggio in cui Gassman padre lesse il primo canto dell'Inferno non si poteva respirare. In fila, in piedi, lungo i corridoi laterali, ammassati nei palchetti non c'erano solo pensionati (liberi il pomeriggio alle cinque) o signore impellicciate. C'erano studenti, compagnie di teatro, studenti di arte drammatica, poeti. C'era una fetta di città che decideva di uscire prima dal lavoro, dall'università, da casa, da dovunque per ascoltare, di lunedì pomeriggio, la lettura della Divina Commedia. 

Si sa che in Cina c'è il doping genetico: modificare alla radice la natura di un possibile atleta in modo da renderlo funzionale all'obiettivo. E infatti i risultati sono evidenti: piccole atlete magrissime e fragili che portano a casa vittorie di cartone in cambio di una vita distrutta. 
Chi oggi sta manomettendo alla radice il dna di questa città che ha in sé una teatralità innata, sorniona e indolente sappia che sì, è a buon punto. Il suo lavoro procede indisturbato, pare, nel lassismo più totale del senso del decoro. Interrotto, di tanto in tanto, solo da qualche singulto che fuoriesce dalle pieghe del controllo: il Teatro dell'Opera che se è vero che è un concentrato di contraddizioni (tra privilegi denunciati eppur un tempo concessi), è anche vero che si è visto arrivare addosso le lettere di licenziamento per gli orchestrali: perché? Il Teatro Valle, che si è autorigenerato come Fondazione per scampare al pericolo di morte certa sotto le spoglie di un fast food; il Cinema America, che ha lottato con le unghie e con i denti.... Per il resto, a macchia di leopardo ma scientificamente, la cultura di questa città sta venendo meno, risucchiata da un'idrovora con molte teste e senza un cervello.  

E mentre a Madrid continua a esistere indisturbato el dia del espectator, il giorno dello spettatore, (ogni mercoledì il biglietto di qualsiasi spettacolo teatrale, cinematografico, di ballo, etc....si paga la metà come incentivo alla fruizione dell'arte), a Edimburgo vivono affollate oltre trecentoventi sale sinfoniche; a Vienna si va con la famiglia a sentire la musica dopo il lavoro, qui da noi  il Fus (Fondo unico per lo spettacolo) per il 2014 destina a tutta la prosa d'Italia 64 milioni di euro. Ma con le nuove norme ministeriali si cancella, questa è la sintesi, l'aiuto alle sale con meno di 250 posti. 
Praticamente tutte quelle che sono in sé una fucina di sperimentazione irregolare. I luoghi in cui non transitano le idee e i nomi già noti, ma dove si allenano quelli che lo diventeranno. Ad esempio il Teatro Lo Spazio, il Tordinona, il TeatroDue, il Teatro Belli, dove per altro si sta aprendo anche un'interessantissima produzione bilingue per bambini: come dire, dove non arriva la scuola...
La grande bellezza al confronto ci fa un baffo, la decadenza è tutta nelle decisioni e nell'abbandono ragionato e studiato.
E poco importa se in ballo ci sono mestieri, professioni, lavori e laboratori di creatività che rischiano di essere spazzati via.  Chi ha occhi per vedere, osservi che i bassifondi esposti a Villa Medici si rischierà a breve di non dover andare tanto lontano nel tempo, per ritrovarli. Azzerare, annientare, avvilire. Deturpare, eccolo il diktat. Abbrutire. Prima una città e poi un Paese. E' questo l'obiettivo di chi (intenzionalmente?) sta gettando nel baratro tutti i piccoli grandi luoghi di cultura della capitale. 
Spazi come il teatro Tirso de Molina che lotta da solo, senza fondi esterni e con l'unico sforzo degli abbonati per far sopravvivere la tradizione della romanità. 

Torno indietro con la mente. Alla fine della lettura del canto da parte di Gassman mi misi in fila per salutare il grande attore. Quando lo ebbi davanti, ancora commossa dalla rappresentazione, non ressi all'emozione. E lo guardai senza dire una parola. Fu lui, Gassman, a togliermi di mano il volume dell'Inferno, ad aprirlo e a scriverci sopra una dedica che conservo tra i ricordi più importanti, senza mai essere riuscita a rispettare l'invito che riportava. 
"Non piangere e non ridere, fermati sul giusto equilibrio". Sorrido mentre rileggo quelle parole fissate da una calligrafia sicura. E penso che quel ricordo è frutto di un'emozione nata dentro a un teatro, in un pomeriggio dei tempi del liceo, davanti a un grande attore che dopo il debutto teatrale a Milano, arrivò a Roma. E qui, a 21 anni, calcò - primo teatro romano della sua carriera - le tavole dell'Eliseo, che oggi è sotto minaccia di sfratto. 

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