giovedì 10 marzo 2016

BURGHESS INSIDE - 5/5

BURGHESS INSIDE

di Chiara Lico

Ieri mattina mi sono svegliato presto anche se era domenica. E quindi, tanto per cominciare ho visto ciò che continuerà a garantirmi una paghetta niente male ancora per qualche mese: cioè Sofi che tornava quatta quatta alle otto del mattino. Mi sono appoggiato alla porta, ho incrociato le caviglie una sull’altra e rassicurante ho indicato l’orologio: “Dove sei stata?”
Spettinata, paonazza, puzzolente di tutto. Che cozza, ho pensato, Ma chi ti si pigliagiusto uno sfigato. Mi ha risposto farfugliando. Ho capito subito che non ci stava con la testa.
“Bene, le ho detto: 50 euro a settimana e non ti ho mai visto”.
Me ne ha date subito venti. Caro Babbo Natale, st’altr’anno col cavolo che mi freghi. Averlo saputo prima, altro che uno: cento me ne compravo di Laipad.
“Vai a letto, racchia”, rido. Violetta in salsa sciapita. La guardo mentre sfasciata se ne va a fare finta di aver dormito qui tutta la notte. Infilo i soldi nel salvadanaio a forma di sedere di donna. (Me lo ha regalato zio Dodo, a Natale). 
E’ proprio vero che siamo democratici, noi Burghèss. Ma noi Burghèss, intendo: cioè io, papà, e zio Dodo. Noi siamo una realtà precisa.
Noi, e la Mummia. Cioè la nonna. Una che tratta gli altri in un modo che persino io le staccherei quella parrucca di capelli grigio-blu. Un mostro vero, più simile a una lucertola che a una donna. Con tre chiodi fissi: burraco, bridge e trincare. Ma solo quando nessuno la vede, “Se no dov’è la signorilità?”, chiede.
Se l’obiettivo era diventare come la mummia, la mia mammetta plastificata non ce l’ha fatta. Lì c’è di mezzo la genetica, ragazzi. Non è roba che improvvisi con un bisturi e due blefaro. La Mummia è la Mummia perché c’è nata così. Una che fa prima a farti piangere che a farti schifo, il che è tutto dire.

La mia mamma, dicevo, col suo sedere rifatto e la sua terza all’insù da liceale non solo non s’è qualificata per le finali con la Mummia, ma ogni volta che stanno vicine sembra una di quelle pellicole per alimenti: che appena le sfiori si raggrinziscono e afflosciano. E considerate che mia nonna di certo non la sfiora, semmai la bucherella con la forchetta.
Per questo dopo ogni “Cena in famiglia” mi ritrovo la mia mamma siliconata che piange davanti allo specchio e ripete “Chi me l’ha fatto fare”. Perché lei è una che arrotola il tubetto del dentifricio quando dentro c’è un pochino di pasta per non sprecarlo (io lo so, ma non lo dico). Una di quelle che spegne la luce da una stanza all’altra (zitti, per carità). Una che ancora litiga in macchina se gli altri non si fermano allo stop o se le tagliano la strada.
Voglio dire, lei non è capace. Non è ancora in grado di portarsi appresso un chiodino e senza dare troppo nell’occhio piazzarlo un po’ piegato sotto alla ruota di dietro di chi le ha fregato il parcheggio. Oppure di tirare fuori le chiavi e avvicinarsi con eleganza alla macchina della signora del piano di sopra e andare decisa a fondo. “Semplicemente, non ce la fa”, dice la Mummia scuotendo la testa.
Io sto zitto e mi carico. Anche perché la vedo con i miei occhi che si applica, come dice la maestra. Parliamoci chiaro: mica è da tutti cambiarsi i connotati per essere accettata.
Poi è vero che ogni tanto ha qualche cedimento e dice: “Ma che ne sai tu”. E io la guardo, che è un po’ triste, e mi sembra bellissima.
Io invece, Michelino Burghèss, me ne strafrego. Di tutto e di tutti. Ma senza aver studiato: direttamente di mio, sono borghese. “Burghèss inside”, dice lo zio Dodo accarezzandomi la testa dopo aver saputo che ho riazzoppato la maestra che mi ha messo in punizione per aver fratturato il naso a Genny che, ancora una volta, non ha contato fino a tre prima di parlare. Si parla di anca, stavolta: s’è accartocciata sotto alla predella della cattedra. Devo dire che il volo è stato brutto, ma perché è brutta lei. Fosse stata una come quelle che guarda zio Dodo le gambe all’aria non sarebbero state niente male…
“Come mai sei venuto tu a prendermi a scuola?”, gli chiedo. “Ma tu  lo sai che cos’è un pornazzo?”, rilancia lui.  Lo guardo e in effetti ha ragione papà: sta messo male di brutto.
Elastico come arma impropria, hanno scritto sulla nota. Mi fanno pena ‘st’insegnanti, meno male che a casa non mi hanno mai obbligato a rispettarli, se no pensate quanto potevo rimanerci male.
Elastico come arma di difesa, semmai.  Perché io sono uno che ascolta quello che dicono i grandi e obbedisce. Infatti ho cominciato a difendere la mia famiglia dopo che un giorno ho sentito papà che diceva a zio Dodo “Tuteliamoci da soli, ormai non c’è più nessuno che ci difende, l’hai capito o no?”.
Ci penso io, papà, mi sono detto quel giorno. E da allora botte da orbi a chiunque dice qualcosa su di noi. Soprattutto su papà.
Insomma, l’ho legato tra la gamba della cattedra e quello della sedia di quella vecchiaccia della maestra che m’aveva cacciato fuori dall’aula. Un capitombolo che più fico non si poteva. Si sono viste pure le calze contenitive marrone scuro. Capitombolo e contenitive l’ho pensato ma non l’ho detto (sempre perché sono dislessico, questo ormai si sa). 
E così ieri doveva essere l’ultimo giorno dentro casa. Sia per  me che per lui. Infatti oggi sono entrato in classe convinto che nel pomeriggio avremmo fatto due tiri in porta insieme per festeggiare l’aria fresca. E qua c’è stata la battuta di Genny.
“L’hanno detto i tuoi, vero?” gli ho chiesto.
“No, l’ha detto la radio mentre i miei mi portavano a scuola”.
Non c’ho visto più.
Prima di cena ho acceso la tv, ma non c’ho capito niente. Secondo me lo fanno apposta, meno capisci più sei contento. 
Poi la mamma ci ha chiamato, a me e alla racchia e ci ha spiegato come stanno i fatti. Lì ho capito e sono diventato un po’ triste.
“Papà è dovuto partire in fretta per un lungo viaggio”.
Sofi è rimasta zitta. Io lì per lì anche. Ma è durata un attimo, perché ho capito subito quant’è scemo Genny. Altro che al fresco, papà è andato in un paese lontano, al caldo. Un paese bellissimo dove appena potremo andremo anche noi, ha detto la mamma.  
All’inizio non lo riconosceremo perché farà delle operazioni e cambierà faccia. “Anche lui?!” ha urlato rancida come un’arancia muffa la mia sorella befana.
Io invece sono stato zitto. Sono andato in camera mia e senza fare rumore ho sfilato da sotto al letto il Laipad che mi sono comprato di nascosto con i soldi dei ricatti. Da Natale a oggi ho ricattato tutti: oltre a mia sorella, perché è scema e se lo merita, ho battuto cassa alla signora di sopra (se no sgozzavo il cane); a Genny (se no gli rubavo la merenda); alla supplente (se no le facevo trovare la cacca di cane nella borsa), alla Ragnatela, alla Mummia e a tutti quelli che potevo.
Ma soprattutto a mio padre, l’unico che non mi ha preso sul serio. Neppure quando gli ho detto che lo avevo visto che si baciava con l’amante di zio Dodo. E nemmeno quando gli ho detto che avevo fotografato quei documenti che avevo visto sul suo Laipad, con i nomi e tutto.
Niente. Non ha voluto darmi un centesimo.
E allora io sono stato costretto. Sono andato dalla mamma, quel giorno che l’avevo vista bellissima, e le ho detto tutto, amante compresa. Al resto c’ha pensato lei. Soprattutto a parlare con la Guardia di Finanza. (Anche perché io sono dislessico, ormai si sa).
Burghèss inside, s’era detto.
Mi siedo sul divano proprio dove stava seduto papà. Prendo in mano il mio Laipad e comincio a viaggiare nei mille mondi fantastici che ho sempre sognato.

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