domenica 1 maggio 2016

IL LAIPAD COME PAPA' SU BUDUAR.IT

La saga di Michelino Burghèss viene pubblicata a puntate sul mensile satirico Buduàr.it - l'Almanacco dell'arte leggera, accompagnata e arricchita dalle illustrazioni di Milko Dalla Battista.
I primi due episodi sono già online, rispettivamente sul numero 34 e 35.

giovedì 10 marzo 2016




IL LAIPAD COME PAPA'


ovvero 

Michelino e la famiglia borghese ai tempi della crisi


Da oggi in cinque puntate la saga di Michelino Burghèss.
Michelino è un bambino terribile, pestifero e problematico.
E’ piccolo ma parla come gli adulti perché ha ereditato, assorbendoli, tutti i loro vizi.
Le sue avventure sono un ritratto in chiave grottesco-umoristica della famiglia borghese al tempo della crisi.  
E' cominciato tutto con un solo racconto, il primo, che dà il titolo alla raccolta. La voce di Michelino, però, continuava a dire la sua e così è arrivato anche il seguito.  





IL LAIPAD COME PAPA' - 1/1

IL LAIPAD COME PAPA’

di Chiara Lico


Voglio il Laipad.
Ho lasciato indizi ovunque per Babbo Natale: dentro alla scatola di biscotti a casa della zia, sotto al cuscino del letto d’ospedale della nonna, dentro al Bimby che mamma s’è fatta regalare per l’anniversario di nozze di quattro anni fa. “Adesso ti imposto come si deve”, aveva sussurrato con gli occhi fissi sul cestello sigillato e immacolato. “E vediamo se qua dentro almeno tu fai quello che ti dico”, aveva sospirato. Il Bimby non è più sigillato ma è ancora immacolato, la sua obbedienza non ha partorito neanche un ciambellone.
In effetti lo dovevo capire subito che il Bimby non era una buona idea per la caccia al tesoro. Non c’è neanche la ricetta di una torta in giro per casa nostra. In compenso abbiamo almeno un centinaio di coupon per massaggi viso e corpo calamitati sul frigorifero. E mamma li userà tutti, uno per uno.
È una certezza mamma mia, mica come quelle che ti dicono Faremo e poi non mantengono.
Lei non promette e non mantiene e così, dice “Accresce la nostra autostima”.

EXTREME OUTSOURCING - 2/5

EXTREME OUTSOURCING

di Chiara Lico

Eilà, sono ancora io, Michelino.
Alla fine il Laipad non l’ho avuto perché tutti gli indizi sono andati a finire nell’aspirapolvere gestita in autonomia quasi didattica dalla nostra filippa. Ragione per cui ci ho pensato io, a sistemarla. Ma questo dopo. Filippa che non solo s’è beccata la camera che era di nonna, per cui adesso vive e vegeta con noi. Ma che tra un po’ se non stiamo attenti ci chiude fuori casa perché dentro a questi ottocento metri quadri di mura ci sta più lei che noi.
Visto che lava lei, fa la spesa lei, cucina lei.
La filippa ovviamente non si chiama Filippa. E neanche il filippo suo marito si chiama Filippo. Vallo a capire come si pronunciano i geroglifici loro, fatto sta che da noi rispondono ai nomi di Assunta e Libero. “Perché siamo democratici”, dicono i miei, “Tutti hanno diritto al lavoro e all’indipendenza. Per cui da noi una è Assunta e l’altro è Libero”. 
Genny mi ha guardato strano.
“Siete fichi voi rivoluzionari a parole”, mi ha detto.

I FIGLI DEI FICHI (ma soprattutto delle fiche) - 3/5

I FIGLI DEI FICHI (MA SOPRATTUTTO DELLE FICHE)

di Chiara Lico


Sempre io, Michelino Burghèss. Burghèss è con l’accento sulla è. Burghèss.
Sentite quello che mio cugino Berni mi ha raccontato ieri: che la sua maestra è entrata in classe in ritardo perché la sua due ruote non passava tra il Suv del padre di Jacopo e la mini della madre di Nicole. Al che è partita la centesima mail dalla direzione indirizzata a tutti i genitori della classe per ricordare che non si parcheggia nei posti riservati ai disabili.
“Ma se già sapevano chi era stato….”
“Che c’entra”, ha detto Berni, “E comunque almeno la parte la devono fare. Mica se la possono prendere con il vero colpevole: quella è gente che paga, non va indispettita”.
Giusto. Mi sa che l’ecumenismo è questo, alla fine. Ma non lo dico. Lo penso e basta: sono dislessico, io.
La scuola di Berni è una scuola di fichetti, i figli dei fichi. “Soprattutto le fiche, volevo dire le madri sono uno spettacolo pazzesco”, ha detto un giorno zio Dodo a papà. Al che mi sono messo a origliare come pochi al mondo.
“Tutte gnocche che pare che c’hanno vent’anni”.
Mio padre ha alzato la testa dal Laipad.
“Gnocche che vengono a scuola con la pelliccia, ma sotto hanno la tuta”. Zio Dodo era tutto contento. “Due labbra così, due tette così, i capelli sempre a posto. Firmate, palestrate, unghiate”.
Mio padre lo ha fissato e ha scosso la testa, “Ancora così stai?” , e giù sul Laipad.
Grande pa’.
Lo capite perché mi piace da morire, papà? Perché lui è uno di quelli che “Io no alla scuola privata, dove se paghi ottieni tutto”. Noi siamo democratici, ve l’ho detto. Tant’è che andiamo nella scuola del quartiere. Certo entrarci non era facile, ce la siamo sudata la gavetta: la filippa ha preparato almeno dieci, dodici cene e alla fine un dirigente che conta oggi, un prete domani, io e Sofi siamo entrati nella scuola pubblica statale dei figli dei politici, dirigenti, imprenditori, vip e calciatori.

SUPER POLITICALLY CORRECT - 4/5

SUPER POLITICALLY CORRECT

di Chiara Lico


Eccomi di nuovo qua. Michelino per servirvi, presente all'appello.
“Oggi non è andata male per niente”, faccio cenno a Genny. Mi tocco le tasche e comincio a tirare fuori una dopo l’altra la refurtiva. Tre gomme da cancellare, due replay di quelle che con la ricarica che costano un botto ma scrivono fico, una matita sola perché mi bucava la coscia.
Tutto fregato, certo. Durante la ricreazione, ovvio. Sono un mago, nessuno si accorge di niente e il giorno dopo fioccano le mail ai genitori da parte della insegnanti con la richiesta di guardare nelle cartelle dei figli per vedere se per caso non abbiano “materiale didattico non di loro proprietà”.
“Tutto sta in come inguatti le prove, è la che si vede lo stile”, sorrido.  
“Buon sangue non mente”, mormoro Genny. L’ho guardato come si guarda un cane che fa la cacca addosso a una mini cooper appena lavata. S’è messo paura e ha fatto bene, dico io. Inutile che lo dico, no? Cinque dita in faccia tanto per gradire.
Che poi alla fine io non sono tanto male, una gomma da cancellare l’ho regalata anche a quella cessa di mia sorella: “Tieni, le ho detto, cancellati i lineamenti”.
“Cretino”.
Vorrei dirle tante cose ma sto zitto perché se no va a finire che mi tira di nuovo lo smalto blu come quella volta che l’ho schivato alla grande ma poi abbiamo dovuto comprare un divano nuovo.
Alla fine non resisto.
“Dici?” Guardo Sofi, scuoto la testa. Non sarà mai come nostra mamma. Lei sì che è una professionista, a volte la guardo e cerco di riconoscerla: due anni fa sembrava la Barbie. Ma non quelle brutte che fanno adesso per far contente le racchie. Quelle politically correct, come dice la Ragnatela. Altroché. La Barbie quella fica, la vera Barbie. Senza patata e senza occhi da androide. Uno schianto, la mamma è uno schianto. Io non lo so com’era prima perché la sua faccia vera credo di non averla mai vista, poi però s’è ammalata. Plastichite,  mi sa che si chiama.

BURGHESS INSIDE - 5/5

BURGHESS INSIDE

di Chiara Lico

Ieri mattina mi sono svegliato presto anche se era domenica. E quindi, tanto per cominciare ho visto ciò che continuerà a garantirmi una paghetta niente male ancora per qualche mese: cioè Sofi che tornava quatta quatta alle otto del mattino. Mi sono appoggiato alla porta, ho incrociato le caviglie una sull’altra e rassicurante ho indicato l’orologio: “Dove sei stata?”
Spettinata, paonazza, puzzolente di tutto. Che cozza, ho pensato, Ma chi ti si pigliagiusto uno sfigato. Mi ha risposto farfugliando. Ho capito subito che non ci stava con la testa.
“Bene, le ho detto: 50 euro a settimana e non ti ho mai visto”.
Me ne ha date subito venti. Caro Babbo Natale, st’altr’anno col cavolo che mi freghi. Averlo saputo prima, altro che uno: cento me ne compravo di Laipad.
“Vai a letto, racchia”, rido. Violetta in salsa sciapita. La guardo mentre sfasciata se ne va a fare finta di aver dormito qui tutta la notte. Infilo i soldi nel salvadanaio a forma di sedere di donna. (Me lo ha regalato zio Dodo, a Natale). 
E’ proprio vero che siamo democratici, noi Burghèss. Ma noi Burghèss, intendo: cioè io, papà, e zio Dodo. Noi siamo una realtà precisa.
Noi, e la Mummia. Cioè la nonna. Una che tratta gli altri in un modo che persino io le staccherei quella parrucca di capelli grigio-blu. Un mostro vero, più simile a una lucertola che a una donna. Con tre chiodi fissi: burraco, bridge e trincare. Ma solo quando nessuno la vede, “Se no dov’è la signorilità?”, chiede.
Se l’obiettivo era diventare come la mummia, la mia mammetta plastificata non ce l’ha fatta. Lì c’è di mezzo la genetica, ragazzi. Non è roba che improvvisi con un bisturi e due blefaro. La Mummia è la Mummia perché c’è nata così. Una che fa prima a farti piangere che a farti schifo, il che è tutto dire.

mercoledì 18 febbraio 2015

CARCERI, LA MORTE CELEBRATA SUL WEB: NON BASTA L'OBLIO

Adesso i volti non sono più visibili. E neppure i nomi. Cancellati velocemente, insieme alle frasi ingiuriose e infamanti che alcune guardie penitenziarie avevano postato per gioire del suicidio, nel carcere di Opera, di un detenuto condannato all'ergastolo. Tutto cancellato con un clic, perché nessuno conosca l'entusiasmo condiviso per il gesto di un uomo che rinuncia alla sua vita mentre è affidato alle mani dello Stato. Un entusiasmo che è stato reso pubblico, condiviso, che ad alcuni è persino piaciuto, che ha suscitato approvazione e incoraggiamento. Anche quando i commenti, uno dopo l'altro, pubblicati sul profilo Facebook di un piccolo sindacato di polizia penitenziaria, l'Alsippe, suggerivano ironici consigli "disposizione più corde e più sapone". O inviti sarcastici: "Collega, scala la conta". Tutto pubblicato, tutto visibile. Potenzialmente anche da qualcuno che conosceva il rumeno 39enne Ioan Gabriel Barbuta, condannato a vita per aver ucciso un vicino di casa. E' Internet, e in questo caso non è bellezza. Ma cassa di risonanza facile e gratuita, aperta a tutti - e chi vuol prendere prenda pure - di un'irresponsabile possibilità di far girare parole come fossero informazioni.  E' il caso di questa storia, cominciata tre giorni fa con la morte di un uomo e culminata oggi nella celebrazione cosciente del suo gesto sentito come riscatto per tanti. Oltraggi non a un uomo ma a un'intera condizione, offese messe nero su bianco in totale sprezzo della dignità umana. Dileggiata proprio da chi, quella stessa dignità, è chiamato a tutelarla, a proteggerla. Messaggi che hanno scatenato polemiche e indotto il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria a parlare di "fango" nei confronti di tutti gli agenti impegnati a tutelare le persone che hanno in custodia. Quindi, l'avvio di un'inchiesta interna. E poi l'intervento del guardasigilli. Potere anche questo di Internet, va detto. Che prende e toglie senza guardare in faccia nessuno. E che con la stessa facilità con la quale fa transitare l'osceno, fa anche sì che l'osceno possa essere censurato.  E se sarà la giustizia a stabilire se comminare pene - e quali - a chi si è reso responsabile di portare in trionfo l'estremo gesto della disperazione umana, a chi scrive resta da chiedersi fino a che punto la libertà stabilita dal potere della Rete sia da temere se lasciata senza una custodia adeguata. Perché anche se adesso le frasi ingiuriose e offensive sono state cancellate, è pur vero che sono esistite. E come accade per tutto ciò che nasce e muore, un seme da qualche parte resta e prima o poi germoglierà di nuovo. Il piccolo sindacato, chiamato in causa, ha spazzato via con un clic le tracce di un malessere che si è trasformato in vilipendio. Ma il vilipendio c'è stato. L'oblio non può esserci.

martedì 3 febbraio 2015

"IO TWITTO, TU ZITTO" DA OGGI SU BUDUAR.IT

Sul nuovo numero di Buduar.it  è stato pubblicato il mio post umoristico "Io Twitto, tu zitto". Uscito su questo blog il 28 Agosto 2014, da oggi, valorizzato dalle illustrazioni di Milko Dalla Battista, trova spazio nella rivista satirica online diretta da Dino Aloi e Alessandro Prevosto.
Grazie ai direttori e all'illustratore.
Per leggerlo vai a pagina 73

mercoledì 21 gennaio 2015

ESPLOSIONE ROMA, SE UN'ANZIANA SCEGLIE LA GIUSTIZIA FAI DA TE

Doveva essere una notte come tante, un condominio anonimo della capitale e invece c’è un uomo innocente che è morto, e già questo basta per far parlare di tragedia. Ci sono 21 feriti, che dovranno capire di essere vivi per miracolo. E poi c’è una donna, anziana, che pensa di garantirsi un risarcimento per torti subiti, la certezza di una tranquillità che adesso lei si vede negata. Il fai da te, insomma, come assicurazione di una pace pretesa. O, perlomeno, di una giustizia che non si certi di vedere, dopo.

lunedì 12 gennaio 2015

CHARLIE HEBDO E L'ITALIA SI RISCOPRE AMICA DI SATIRA E VIGNETTE


“Che guerra è, una guerra alle matite”?
Muovo il cursore verso il basso, sposto il mouse alla ricerca di almeno un’altra frase, in questa mail. Invece no, dopo il punto interrogativo, a capo ci sono i saluti, affettuosi e sinceri.
Mentre ovunque mi risuona intorno la protesta di Parigi, il suo popolo in piazza con le matite in alto. Giro lo sguardo, lo riporto sul monitor. Una mail caduta tra capo e collo. Che mi disturba perché mi porta a riflettere mentre in realtà io stavo facendo altro.
Precisamente stavo cercando. Sì, esatto, cercando.
E adesso devo ricominciare da dove sono stata interrotta.
Comunque. Giacché ci sono, mi fermo un momento sulla mail. Per poco, però. Perché devo cercare.
Guardo la firma  in calce alla mail. E’ di Dino Aloi – ideatore e fondatore - insieme ad Alessandro “Palex” Prevosto e a Marco de Angelis del mensile online di satira sociale Buduàr.it. nato nel 2012 e che oggi vanta disegnatori e fumettisti da tutto il mondo.